Paolo Bottioni
Il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’Anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’Anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare. (Wassily Kandinsky)
A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni. Ha scritto così Alessandro Baricco. È davvero questo il potere dell’arte: andare oltre la parola, il linguaggio, cercando qualcosa di più concreto, più immediato, qualcosa che è nelle forme, ma poi le infrange, le costruisce e poi le dissolve, tenendo solo la musica, la vibrazione sonora dell’emozione, insomma il colore. Paolo Bottioni ha sicuramente appreso guardando i grandi maestri come Cèzanne, Kandinsky, Klee, Rothko e poi il suo più vicino riferimento Dino Chiapponi, quindi ha seguito una strada sempre più intima, personale, emotiva. Ha imparato e poi dimenticato, o meglio ha lasciato sedimentare dentro, facendo tesoro della sostanza più profonda degli insegnamenti, cogliendo “tutto il succo della vita”, distillandolo nei suoi quadri. Le forme in lui non vengono mai completamente annullate, ma restano come in filigrana, una trama sottesa di ricordi, d’apparizioni interiori sovrastate dalle tinte, appoggiate sulla tela come tessere di un mosaico di momenti e folgorazioni, incastrate a comporre l’armonia di un vissuto da restituire in tutta la sua pienezza. Panorami di mare, colline d’autunno, spiagge e paesi, in rari casi si distinguono con chiarezza, ma sempre si sentono. L’orchestrazione dei colori, la loro profondità ci fanno percepire i profumi di una stagione o di un luogo, la sensazione di umido, di freddo o di tepore, di solitudine o di gioia. Non serve più descrivere accuratamente, individuare figure, perché la forza di questi quadri astratti sta proprio nel concentrare talvolta in pochissime tinte ben organizzate, tutto il significato di un momento. Alcune opere perdono persino il riferimento a qualcosa di concreto, per essere semplici “composizioni” o “spazio in rosso”, “la grande bellezza del profondo blu”, “luci nel verde”, fin a “senza titolo”. Bottioni si abbandona completamente a quella dimensione magica del colore come la intese Van Gogh e con lui tanti artisti, scrittori, poeti. Esso da solo crea universi, trasporta oltre la realtà. Come ha scritto Vassily Grossman: “Se prendo il verde non vuol dire che intendo dipingere l’erba, e se prendo il blu non significa che dipingerò il cielo. Il colore esprime lo stato d’animo dell’artista.” E, procedendo in questa sempre più necessaria sintesi, inesorabile come il tempo e col passare del tempo, per la quale da giovani si riempie, si moltiplica e nella maturità invece si va levando, per trattenere sempre più l’essenziale, ecco che l’artista giunge a utilizzare pochissimi colori, magari saturi di sfumature. Esemplare è in questo senso il quasi figurativo “Fuga”, visione romantica di sabbia e cielo plumbeo, giocato tutto sull’effetto coinvolgente e vibrante delle tinte del cielo e della terra. Ma anche “Inverno” o “Palinuro” sono realizzati con l’armonia di poche cromie, a rievocare il freddo da una parte e dall’altra le immensità blu di cielo e mare. Proprio il blu e il rosso sono i colori che tornano con maggiore efficacia, emergenti dal nero delle cose, delle ombre che li spinge in evidenza. Quei vasti tratti neri sono fondamentali come inevitabili pause di silenzio o di distrazione nella rappresentazione del sogno e della memoria; tracciano spessori invisibili e ineffabili, crepe e abissi da cui spiccare il volo, notti verso cui veleggiare, semplici appigli di quiete o inquieti confini sempre superati dall’impeto vitale. Ed ecco che questo bergsoniano “élan vital”, pervade infine tutta l’opera di Paolo Bottioni e svela l’alchimia nascosta del colore: la sua anima. Manuela Bartolotti
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Parma 18 Marzo 2022 Questa mia personale, composta da una prevalenza di lavori astratto-informali, può essere vista come un gioioso ritorno alla vita, dove il colore vuole esprimere la serenità ritrovata dopo la lunga e dura pandemia. La tela diventa spazio introspettivo, dove sono dipinte le emozioni e i sentimenti che le situazioni dell’esistenza hanno provocato in me. Nella mia pittura, il colore ha sempre avuto un ruolo preponderante nel manifestare i miei moti interiori. Come dice l’Arnhaim in “Arte e percezione visiva”, il colore ha sempre rappresentato una delle più alte forme di discriminazione in possesso dell’uomo; da sempre esso, con la sua valenza simbolica, ha ben espresso i molteplici stati emotivi dello spirito umano, i sentimenti. Nell’arte in generale e in particolare in quella astratta, il colore, insieme a forma, segno, luce, masse e spazio, costituisce un dato puro della pittura e per questo può contribuire in modo rilevante a stabilire gli equilibri della tela stessa, in maniera corrispondente alla nostra reazione emotiva. L’opera astratta acquisisce così una sua valenza autonoma dall’immagine naturale, concreta, così come noi la vediamo, in quanto va a definirsi come opera artistica a sé stante, pregna di un suo proprio livello estetico. Questo processo del superamento dell’oggetto e della figurazione realistica è un lungo discorso, iniziato nella seconda metà dell’ottocento con l’impressionismo e mai chiuso, ma ancora in sviluppo e aperto a nuovi concetti estetici, quasi a ribadire sempre l’incessante evoluzione creativa insita nell’animo umano. Il mio fare pittura astratta-informale va inteso pertanto come una finestra aperta sulla profondità dell’anima, uno spazio inconscio da esplorare, fatto di sentimenti, desideri e emozioni, più autentico perché non distratto da cose, da oggetti: uno spazio puro. Tante volte, parlando con gli amici, si è molto discusso e alla fine si è concordato che, dove forma, segno, colore e masse strutturano lo spazio pittorico della tela, questa diventa espressione di un significato interiore e profondo, luogo della memoria, pagina scritta dall’energia creativa dell’uomo. La tela è anche terreno di libero confronto emotivo e spirituale; infatti, chiunque fruisca dell’opera artistica può misurare i propri sentimenti di affinità o contrarietà rispetto ad essa, prendendo coscienza di sé e dei personali stati d’animo. L’opera pittorica diviene così un momento di libertà per tutti, un ambito in cui ogni fantasia, collettiva o individuale, può trovare la sua collocazione, creando infine una nuova realtà. Si deve però essere disposti a cercare nel colore, nella struttura e negli spazi della tela, quella presenza che si fa tale andando oltre l’immagine reale (una presenza nell’assenza). In pittura occorre capire che nell’assenza del dato oggettivo c’è la presenza spirituale dell’artista, che t’invita a condividere il suo sentimento, la sua anima. Paolo Bottioni
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Attualmente Paolo Bottioni vive e lavora a Parma , Via sporzana 11- tel.328 9491683 |
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